L'Ebraicità di Gesù di Nazareth

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    אריאל פינטור

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    Il discorso della Montagna è senz’altro la pagina più bella dei Vangeli, una pagina di poesia e d’amore, testamento spirituale di Gesù di Nazareth.
    L’evangelista Matteo, o colui che per lui ha redatto il vangelo, era Ebreo. Probabilmente un discepolo diretto del Nazareno, forse il pubblicano Levi, detto Matteo. Un Ebreo nato, cresciuto ed educato nella lingua ebraica e sotto la Torah.

    Mt 5:1 Gesù, vedendo le folle, salì sul monte e si mise a sedere. I suoi discepoli si accostarono a lui, 2 ed egli, aperta la bocca, insegnava loro dicendo:
    3 «Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.
    4 Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati.
    5 Beati i mansueti, perché erediteranno la terra.
    6 Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati.
    7 Beati i misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta.
    8 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
    9 Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
    10 Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli.
    11 Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. 12 Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi.
    Le “beatitudini” trovano il loro corrispondente in numerosi Salmi, molto tempo prima della nascita di Gesù:
    Beato:
    Sal 1:1 Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi,
    non indugia nella via dei peccatori
    Sal 31,1 Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa,
    e perdonato il peccato.
    2 Beato l'uomo a cui Dio non imputa alcun male
    e nel cui spirito non è inganno.

    Sal 83,5 Beato chi abita la tua casa:
    sempre canta le tue lodi!
    6 Beato chi trova in te la sua forza
    e decide nel suo cuore il santo viaggio.

    Sal 105,3 Beati coloro che agiscono con giustizia
    e praticano il diritto in ogni tempo.

    Sal 118,1 Beato l'uomo di integra condotta,
    che cammina nella legge del Signore.
    2 Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti
    e lo cerca con tutto il cuore.

    Sal 127,1 Canto delle ascensioni.
    Beato l'uomo che teme il Signore
    e cammina nelle sue vie.
    2 Vivrai del lavoro delle tue mani,
    sarai felice e godrai d'ogni bene.
    3 La tua sposa come vite feconda
    nell'intimità della tua casa;
    i tuoi figli come virgulti d'ulivo
    intorno alla tua mensa.
    4 Così sarà benedetto l'uomo

    Al centro del pensiero di Gesù sono sempre gli umili, i poveri, gli afflitti, i diseredati, i deboli come le vedove e gli orfani, i puri, i misericordiosi verso coloro che soffrono , che hanno fame e sete, gli amanti della giustizia, preoccupazione sempre presente nella cultura del popolo d’Israel ed il Maestro attinge all’antica sapienza.
    In realtà, questa idea di beatificazione della povertà, riveste in Matteo un carattere più precisamente “spirituale”, ideale, nel senso della semplicità di spirito e della purezza del cuore che è propria delle persone semplici.
    Il passo corrispettivo lucano (Lc 6,20), “noto come il discorso della pianura”, fa riferimento “tout court” ed in maniera più chiaramente materiale solo ai “poveri” (Μακὰριοι οἱ πτωχοί) e non ai poveri in spirito ( Μακὰριοι οἱ πτωχοὶ τῷ πνεύματι·), sottolineando così il problema dell’indigenza quotidiana, e delle esigenze di vita piuttosto che l’esaltazione della semplicità d’animo.

    “Lc 6,17 Sceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante, dove si trovava una gran folla di suoi discepoli e un gran numero di persone di tutta la Giudea, di Gerusalemme e della costa di Tiro e di Sidone, 18 i quali erano venuti per udirlo e per essere guariti dalle loro malattie. 19 Quelli che erano tormentati da spiriti immondi erano guariti; e tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva un potere che guariva tutti.
    =Mt 5:2-12
    20 Egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi che siete poveri, perché il regno di Dio è vostro.
    21 Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. 22 Beati voi, quando gli uomini vi odieranno, e quando vi scacceranno da loro, e vi insulteranno e metteranno al bando il vostro nome come malvagio, a motivo del Figlio dell'uomo. 23 Rallegratevi in quel giorno e saltate di gioia, perché, ecco, il vostro premio è grande nei cieli; perché i padri loro facevano lo stesso ai profeti.”
    24 Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.
    25 Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.
    Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.
    26 Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi, perché i padri loro facevano lo stesso con i falsi profeti.

    Hard Rain, studioso di papirologia e di Cristianesimo primitivo osserva:

    “Gesù intese riferirsi a una condizione dello spirito (discorso della montagna) ovvero a una condizione di indigenza materiale (discorso del piano)? Supporterebbe la versione lucana la citazione di Eu.Thom. logion 54 (il testo copto preserva ancora il macarismo: "Beato il povero, perchè suo è il regno dei cieli"), d'altra parte l'espressione della "povertà di spirito" non è sic et simpliciter una invenzione teologica del redattore del vangelo secondo Matteo poichè almeno due importanti testi qumranici la attestano, cfr. 1QM (il cosiddetto rotolo della guerra, I sec. a.C., col. XIV, linea 7) e 1QH(a) (rotolo delle Hodayot, I sec. a.C.).”
    Anche altri riferimenti della Scrittura fanno piuttosto riferimento ad una condizione più terrena che spirituale, riguardo alla pietà per il povero e l’oppresso:

    I poveri, gli umili e gli oppressi:
    (Is 57,15)15 Poiché così parla l'Alto e l'Eccelso,
    che ha una sede eterna e il cui nome è santo:
    In un luogo eccelso e santo io dimoro,
    ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati,
    per ravvivare lo spirito degli umili
    e rianimare il cuore degli oppressi
    Sal 106,7 Solleva l'indigente dalla polvere,
    dall'immondizia rialza il povero,
    Sal 9,35 Eppure tu vedi l'affanno e il dolore,
    tutto tu guardi e prendi nelle tue mani.
    A te si abbandona il misero,
    dell'orfano tu sei il sostegno
    Sal 9,39 per far giustizia all'orfano e all'oppresso;
    e non incuta più terrore l'uomo fatto di terra.

    Sal 11, 6 «Per l'oppressione dei miseri e il gemito dei poveri,
    io sorgerò - dice il Signore -
    metterò in salvo chi è disprezzato».

    Sal 27,25 perché egli non ha disprezzato
    né sdegnato l'afflizione del misero,
    non gli ha nascosto il suo volto,
    ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.

    27,27 I poveri mangeranno e saranno saziati,
    loderanno il Signore quanti lo cercano

    Sal.81,3 Difendete il debole e l'orfano,
    al misero e al povero fate giustizia.
    4 Salvate il debole e l'indigente,
    liberatelo dalla mano degli empi

    Sal 106,9: perché saziò il desiderio dell’assetato e l’affamato ricolmò di beni.
    Infine la Promessa: il possesso della Terra, per coloro che esaudiscono i desideri del Signore e camminano nella Sua Legge.
    Da chi sarà posseduta la terra, se non dall’uomo puro di cuore, dal mite, dal giusto, da colui il cui cuore aborrisce la menzogna?
    La Promessa è realizzata in coloro che perseguono la giustizia e la pace, che camminano nel sentiero del Signore e sono degni di dimorare sul Suo Monte e nella Sua tenda e contemplare il Suo volto.
    Sal 36,22 Chi è benedetto da Dio possederà la terra,
    36,29 I giusti possederanno la terra
    e la abiteranno per sempre.

    Sal 17,27con l'uomo puro tu sei puro,
    con il perverso tu sei astuto.


    Sal 23,3 Chi salirà il monte del Signore,
    chi starà nel suo luogo santo?
    4 Chi ha mani innocenti e cuore puro,
    chi non pronunzia menzogna

    Giustizia e Misericordia non sono separate, l’una implica l’altra. L’Uomo retto e puro, che avrà, agito secondo Misericordia, avrà la Giustizia, perché Misericordioso (****) e Giusto Giudice è il Creatore (Elohim).

    Sal 10,7 Giusto è il Signore, ama le cose giuste;
    gli uomini retti vedranno il suo volto.

    Sal 17,21 Il Signore mi tratta secondo la mia giustizia,
    mi ripaga secondo l'innocenza delle mie mani;

    Sal 16,15 Ma io per la giustizia contemplerò il tuo volto,
    al risveglio mi sazierò della tua presenza.


    Sal 34,20 Poiché essi non parlano di pace,
    contro gli umili della terra tramano inganni.


    34,27 Esulti e gioisca chi ama il mio diritto,
    dica sempre: «Grande è il Signore
    che vuole la pace del suo servo».

    Sal 14,1 Signore, chi abiterà nella tua tenda?
    Chi dimorerà sul tuo santo monte?
    2 Colui che cammina senza colpa,
    agisce con giustizia e parla lealmente,
    3 non dice calunnia con la lingua,
    non fa danno al suo prossimo
    e non lancia insulto al suo vicino.
    La Giustizia e la Misericordia, i due principali attributi del Signore: Elohim e ****.
    Nel Suo rapporto paterno-filiale con l’uomo, il Santo Benedetto preferisce sempre mostrarsi come ****, come infinità Misericordia e questo richiede all’essere umano, una Misericordia che vada al di là dell’ordinario, perché l’uomo è stato creato a Sua immagine e somiglianza e Lui si deve conformare:
    “Siate santi, perché Io il Signore vostro D-O sono Santo”.
    In questo il comandamento dell’Amore verso il prossimo (levitico 18,19) viene proclamato da Gesù, come unico senso dell’esistenza umana e dello scopo della creazione.

    Nulla di nuovo quindi. Nulla che non fosse già stato scritto o detto anticamente e che Gesù di Nazareth ben conosceva, in un’epoca in cui le Scuole erano fervide e fiorenti, la tradizione orale, anch’essa donata ad Israel sul Sinai, al pari di quella scritta, veniva gradualmente codificata nelle Halachah e costituiva il nucleo, la culla attorno al quale il Popolo, forte della Rivelazione e della Promessa fatta ai Padri, si stringeva, unico modo per resistere al degrado dei costumi e della società e alla devastante e arrogante occupazione romana che se, in apparenza, “rispettava” usi e religione dei popoli sottomessi, non mancava di offendere il sentimento religioso Israelita e non risparmiava angherie e soprusi anche sul piano civile, oltre che servendosi di collaborazionisti tra le classi dirigenti ai quali riservava benessere e privilegi.
    Grazie alla Torah, al rispetto della tradizione, alla fede incrollabile nel D-O unico, gli Ebrei resistettero e sopravvissero a venti secoli di diaspora e di persecuzioni.

    Questo sentimento e questa fede, che il vero ebreo conserva nel suo cuore, animavano certamente il Nazareno che amava il suo popolo e la sua terra, non differentemente da Rabbi Aqiba che pure morì martire dell’oppressore Romano, anch’egli ringraziando il Signore per quella morte.
    Probabilmente, al suo seguito vi erano persone di estrazione eterogenea, da una folla rassegnata alla sopravvivenza, che viveva nella speranza dell’arrivo di un Messia liberatore, fino a veri rivoluzionari: potrebbe non essere del tutto casuale, la presenza, nella stretta cerchia dei suoi diretti discepoli di: Simone “Lo zelota”, Giacomo e Giovanni di Zebedeo, detti “Boanerghes” (figli del tuono), soprannome al quale si è voluto dare il significato di “carattere impetuoso” ma che suona piuttosto come un nome di battaglia, non dissimile da “Bar Kochba” (figlio della Stella).
    Anche il soprannome di Simone detto “Kefas” (roccia), lascia intravvedere una posizione tutt’altro che docile.
    Senza contare che in varie occasioni i discepoli risultano essere armati di spada (cosa assolutamente proibita con la morte dalle leggi romane).
    Di fronte a questa situazione eterogenea e impregnata di aspettative messianiche, di riscatto dall’oppressore e di risorgimento del Popolo, Jeshua non fu un passivo, né un Gandhi di 2000 anni fa.
    Grande conoscitore dell’animo umano, grande psicologo e pedagogo, Egli aveva ben chiara la situazione politica e l’inutilità di una rivolta armata, che avrebbe certamente portato il Popolo alla disfatta e alla distruzione, come immancabilmente avvenne pochi anni dopo.
    Egli fu il propugnatore di una resistenza ideologica e spirituale, fondata sull’Amore e sulla Teocrazia, sulla preparazione a vivere il Regno di D-O che “è già in mezzo a noi”.
    Il discorso della Montagna è il riassunto dell’ideologia di Gesù di Nazareth, la cui vera applicazione, conforme agli antichi precetti, avrebbe potuto rendere il mondo migliore, forse utopisticamente. Una eredità che fece innamorare Gandhi e che andò in contrasto nei due millenni successivi a Gesù, con la politica, non solo laica ma anche della Chiesa, al punto che perfino Lutero affermò che “con il discorso della montagna non è possibile governare”.
    Nelle parole di Gesù di Nazareth, non vi è posto per la ragion di stato, ma solo per l’Amore.

    Matteo scrive un Vangelo, per molti secoli ritenuto il primo dei sinottici, fino a quando la ricerca ha stabilito che il primo ad essere redatto fu Marco, con un linguaggio realmente semitico che comunque traspare dal testo greco, per il tipo di catechesi, per le descrizioni geografiche che solo un conoscitore dei luoghi poteva operare, per l’abbondanza delle citazioni dalla Scrittura.
    Potremmo definirlo un vangelo “catechetico” o “didattico” e come tale fu assunto per secoli dalla cristianità.
    La prima immagine che salta all’occhio è la MONTAGNA.
    Per un Ebreo, l’immagine della montagna, per definizione, richiama il Sinai: la montagna per eccellenza, dove fu donata la Torah, scritta ed orale, al popolo eletto.
    Sotto la montagna vi sono le folle che richiamano il popolo in attesa del ritorno della loro guida dal monte, il ritorno del Profeta di D-O Mosè.
    “Gesù, vedendo le folle, salì sul monte e si mise a sedere. I suoi discepoli si accostarono a lui, ed egli, aperta la bocca, insegnava loro dicendo …”
    Gesù ha l’atteggiamento del Maestro, conforme alla tradizione rabbinica: “si mise a sedere ….. ed aperta la bocca insegnava loro …”
    Era consuetudine dei Rabbi ammaestrare i discepoli in posizione seduta, circondati da una cerchia di allievi più intimi e spesso da molta gente intorno, al contrario dell’officiare in Sinagoga o nel Tempio, dove la lettura dei rotoli della Legge e la preghiera erano effettuate stando in piedi. Infatti, a proposito dell’attività di Gesù in Sinagoga è scritto: “Si levò …”
    Il Rabbi di Nazareth quindi viene presentato non diversamente da qualsiasi altro Dottore che insegna, in una cornice geografica ed in una situazione, suggestive per la psicologia e l’immaginazione di un eventuale lettore Ebreo ed infatti, probabilmente, Matteo scrive per un uditorio ebraico.
    Questo testamento, noto come il discorso della Montagna, è il nucleo centrale dell’insegnamento gesuano.
    La realizzazione di queste nove proposizioni avrebbe compendiato, applicato e ampliato i comandamenti.
    In realtà non vi è nulla in queste parole che non fosse già noto e chiaro nella tradizione ebraica.
    Il Nazareno, da vero Ebreo e conoscitore della Torah e della tradizione orale non inventò nulla: tutto era già scritto o detto nella Storia del Suo Popolo, Storia che coincide con il Tanach.
    Gli enunciati del discorso della Montagna si ritrovano, talvolta identici, altre volte con lo stesso senso, già nel Pentateuco, nei Salmi, in Proverbi, segno di essere già parte integrante di quell’insegnamento. Coerentemente con questo, Egli conclude con:
    “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti. Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento (Μὴ νομίσητε ὅτι ἦλθον καταλῦσαι τὸν νόμον ἢ τοὺς προφήτας· οὐκ ἦλθον καταλῦσαι ἀλλά πληρῶσαι).(Mè nomìsete oti élton katalusai ton nomon e tus profetas. uk élton katalusai allà pleròsai)
    Perché in verità vi dico: finché non saranno passati il cielo e la terra, non passerà neppure uno iota o un segno della Legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque annullerà anche uno solo di questi minimi comandamenti, insegnando agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli; ma chi li praticherà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Mt. 5,17-19).
    Ed è proprio su questo verbo “compiere”(πληρoῶ)(plleròo) che si sono innescati 2000 anni di fraintendimenti.
    Μὴ νομίσητε ὅτι ἦλθον καταλῦσαι τὸν νόμον ἢ τοὺς προφήτας· οὐκ ἦλθον καταλῦσαι ἀλλά πληρῶσαι.
    I Cristiani hanno voluto interpretare “compimento” (completare “πληρoῶ”) nel senso di “superamento” e questo contrasta con la conclusione di Gesù stesso che ammonisce chiaramente dalla non osservanza anche di un solo dettaglio della Legge (“neppure un iota o un segno”).
    Frances, insigne grecista afferma:
    nel greco ellenistico dei documenti papiracei il verbo “πληρoῶ” solitamente assume il significato di “pagare”, nel senso di pagare con valori mobili, ovvero con danaro. Ma nella documentazione papiracea non mancano esempi di impiego molto simili a quelli attestati nel NT, col significato di “realizzare”, “portare a termine”, “ultimare”, in particolare ultimare un dovere, per esempio espletare un ordine emanato dall’autorità. E’ proprio dal significato di “ultimare”, “portare a termine”, così come attestato in alcuni papiri, che bisogna partire per rintracciare il senso speciale che il verbo πληρoῶ assume nel NT. Osserviamo innanzitutto che questo verbo nel vangelo di Matteo copre un “range” semantico definito, non essendo mai impiegato con il senso tecnico di “pagare” né come verbo per denotare una semplice esecuzione o realizzazione di un evento, ordine, necessità (qualche dubbio permane in Mt 1:22, ma anche in questo caso il verbo πληρoῶ assume il significato più specifico di “adempiere”). La Vulgata in Mt traduce sempre con il verbo latino adimplere, e a mio avviso, pur con le sfumature che questo verbo comporta, si tratta di una traduzione corretta, anche se non esplica pienamente la specificità di impiego di πληρoῶ del vangelo di Matteo. Anche in Mt 5:17, 10:34 la Vulgata predilige questa traduzione che purtroppo, rende assai sfuggente e impreciso la portata del verbo πληρoῶ in questi versetti specifici.
    Tornando al testo greco, io credo che per tradurre il verbo correttamente, occorra tener conto delle proprietà semantiche intrinseche del verbo πληρoῶ quando assume il significato di “completare”, “riempire”. Sappiamo che in queste ricorrenze l’azione del completare esplicata dal verbo πληρoῶ non è mai un azione prima, nel senso che l’oggetto al quale si riferisce (in questo caso la Legge), è sempre anteriore all’atto di completare. La Legge esiste e costituisce un punto di riferimento, giuridico e morale, ma Gesù intende “ultimarla”. Si tratta di un preesistenza che è sia temporale che contenutistica: temporale perché precede l’atto del completare e contenutistica perché il contenuto incluso della Legge è stato fissato precedentemente e on è in discussione. Questo contenuto deve essere ampliato, ma non abolito. Ecco che il senso che il verbo assume in Mt implica la portata dell’ampliamento ma anche dell’ultimazione. In parole spicce, l’ampliamento legislativo giunge a uno stadio finale e nel contempo, salvaguarda il contenuto giuridico preesistente. A mio avviso, Gesù intendeva mantenere la Legge e ampliarla definitivamente.
    (http://cristianesimoprimitivo.forumfree.net)


    Inoltre un passo del Talmud (Shabbat 116b), in testo aramaico recita: “non sono venuto per aggiungere né per togliere nulla alla Torah di Mosé”, affermazione che fa riferimento alla prescrizione di Deut. 4,2.
    Probabilmente fu il redattore greco finale che si servì di un verbo di uso non comune in ebraico o aramaico “compiere, dare compimento”, invece di “fare” o “osservare”, soprattutto se legato a quella espressione finale “prima che tutto accada” (Mt 5,18).
    Infatti questo finale sembra contraddire quanto detto: “finché non siano passati il cielo e la terra”, come se la Torah potesse avere una scadenza.
    Potrebbe piuttosto essere una aggiunta storico-salvifica cristiana che lasci scorgere nella morte e resurrezione il “compimento” delle promesse e quindi la fine della Legge.
    Il passaggio da “compimento” in Matteo che significa “compiere”, “completare”, “realizzare”, “fare”, “osservare in pieno”, a Paolo di Tarso per il quale ciò che è terminato e concluso ha anche fatto il suo corso e concluso lo scopo (Gesù è il Termine della Legge) (Rom 10,4) fu capace di trasformare in pochi anni la parola di Jeshua Ben Joseph sulla VALIDITA’ ETERNA DELLA LEGGE, nel suo esatto contrario.
    In altri termini, perché mai Gesù, osservante, chiamato Rabbi non meno di 14 volte nei vangeli, che insegna seduto alla maniera dei Dottori, che si leva di Shabbat a leggere nella Sinagoga o nel Tempio, che cita i Profeti e le Scritture, che osserva tutte le festività religiose, affermerebbe categoricamente che la Legge va osservata in ogni suo dettaglio (Iota o segno), per poi dare una limitazione temporale a tutto ciò?
    Nella Sua affermazione, al pari dei Rabbi che lo avevano preceduto, il Maestro intendeva semplicemente e fortemente erigere “una siepe intorno alla Torah”:
    “Mosè ricevette la Legge sul Sinai e la trasmise a Giosuè, Giosuè agli anziani e gli anziani ai Profeti. I Profeti la trasmisero agli uomini della grande assemblea. Essi solevano dire tre cose. Siate cauti nel giudizio, educate molti discepoli , fate una siepe alla Legge” (Avot 1,1).
    Egli, al pari di qualsiasi Pio Ebreo, intendeva effettivamente portare a compimento la Legge ed i Profeti non di certo nel senso del “superamento” o dell’ “annullamento”, ponendosi in tal modo al di sopra della Torah o al posto di questa, ma solo nel senso della piena applicazione e realizzazione, secondo il desiderio del Signore. In tal senso, le cosiddette “contrapposizioni” non furono per nulla tali ma costituirono, nel Suo insegnamento, “la siepe”, “il recinto” intorno alla Legge.
    Il problema interpretativo nel cristianesimo del “compimento-superamento-annullamento” delle Scritture, che non era nelle intenzioni del Rabbi, derivò, come in molte altre circostanze, da una errata o, quanto meno approssimativa traduzione:
    Mt 5,21. “Avete inteso che fu detto agli antichi …” “Ma Io vi dico …” (ἐγὼ δὲ λέγω ὑμῖν),
    Questa espressione: “Ma Io vi dico” suona come un’opposizione, come una precisazione di un superamento, quasi che il comandamento divino perda di validità o di pienezza e viene sostituito da uno nuovo, quello che sta per essere pronunciato dal Maestro perché la congiunzione “δὲ” viene tradotta con “ma” dal forte senso di contrapposizione.
    "MA".
    la traduzione di "ma", nel senso di contrapposizione assoluta, è "ἀλλά" (allà) mentre "δὲ", andrebbe tradotta, se non chiaramente con la congiunzione “e”, almeno con "peraltro", "inoltre", “e, d’altra parte”, quindi non con un significato di contrapposizione, ma di rafforzamento del discorso, quindi del precetto.
    In realtà, già nell’espressione greca non esiste nessun “ma”: "ἐγὼ δὲ λέγω ὑμῖν", (egò dè lego umin)
    Frances conferma questa idea affermando:

    In Mt 5:22 (o a Mt 5:28, 5:32, 5:34, 5:39, 5:44 et passim), essendo “δὲ” una congiunzione coordinante o avversativa, sarà il contesto e la presenza di altre congiunzioni che ci farà decidere se tradurla o meno. Nel NT la congiunzione “δὲ” assume spesso valore avversativo. Ma si tratta di una opposizione che assume diverse gradazioni. Non possedendo “δὲ” una valenza intrinseca, sarà il contenuto della frase precedente a determinarne il senso nella frase dove compare. Il criterio di applicazione è il seguente: se il contenuto della frase dove compare “δὲ” è in contrasto con il contenuto della frase precedente, allora “δὲ” assume valenza avversativa. Questo criterio comunque non deve essere applicato con rigidità. In ogni caso, vi sono vari gradi di avversione insiti nella particella “δὲ”, mentre la congiunzione “ἀλλά” è sempre avversativa e il tipo di avversione è totale.
    Quando “δὲ” assume una valenza avversativa debole o media, diventa complicato tradurla in italiano. Per molti di questi passi matteani io tradurrei in questo modo:
    “(e), d'altra parte …”
    resa che stilisticamente non è molto elegante, ma almeno ci consente di graduare il valore avversativo medio-debole di “δὲ”.
    (http://cristianesimoprimitivo.forumfree.net

    Questo tipo di espressione linguistica “Fu detto … ed io vi dico ….”, non era affatto una novità ma corrisponde ad un criterio didattico antico della tradizione rabbinica, che trova ampi riscontri nel Talmud: “Wa ani’ omer lakem …” che non rappresenta mai una contrapposizione, ma la spiegazione dell’affermazione precedente, secondo la legittima interpretazione dell’oratore, grazie alla versatile caratteristica dell’ebraico non vocalizzato, che consente infinite interpretazioni, sempre tutte giuste.
    Il modello d’insegnamento di Gesù è conforme quindi, alla tradizione viva nella sua epoca, della dialettica cara alle Scuole, diverse ma univoche, di Hillel e di Shammai che fiorirono in quel tempo e lasciarono una traccia profonda nella cultura del Popolo d’Israel.

    Appare quindi evidente che il discorso di Gesù resta perfettamente coerente e profondamente ebraico.
    Egli non è venuto ad abolire la legge né i Profeti, ma ad applicarla rigorosamente, anzi ad ampliarne il campo d’azione, ad interpretare e a spiegare, come è legittimo e doveroso per ogni studioso della Torah, poiché ogni parola Ebraica, per sua peculiarità, “ammette fino a settanta interpretazioni”.
    Infatti è scritto:
    "Non è la Mia Parola, come un martello che frantuma la roccia?" (Ger. XXIII, 29). come il martello fa scaturire numerose scintille, così un versetto della Scrittura è suscettibile di molte interpretazioni.

    Perché dunque definire “antitesi” le affermazioni del Nazareno?
    “Non uccidere” o “non commettere adulterio” presupporrebbero, come opposto l’uccidere o il commettere adulterio.
    Al contrario, Gesù non solo enuncia, nella sua piena validità il comandamento, ma va oltre.
    Non si deve commettere adulterio, ma neppure desiderare, nel proprio cuore, una donna sposata. L’evitare già a priori il pensiero peccaminoso o l’evitare il giuramento per non incorrere poi nella tentazione dello spergiuro, significa proprio costruire “una siepe” intorno alla Torah.
    Non basta più “non uccidere” ma bisogna spingere questo comandamento fino all’estremo, nell’evitare l’ira, che porta ad azioni inconsulte, che possono arrivare anche all’omicidio, questo è il recinto di salvaguardia della legge.
    La mano del redattore è evidente anche nell’affermazione:
    “ Vi è stato detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”.
    Questa affermazione è sconosciuta all’Ebraismo e ad esso è estranea.
    L’Amore per il prossimo è sempre stato esaltato ma l’odio per il nemico non è stato mai preconizzato, ma condannato.
    Il prossimo, il “Rea’ “ non è solo il vicino, colui che ti sta accanto o appartiene alla tua gente, al tuo popolo. “Rea’ “ può anche essere il tuo nemico, colui che ti sta di fronte, che ti è opposto, lo straniero.
    Infatti, in Proverbi 15,1 si afferma: “Una risposta gentile calma la collera” ed inoltre:”Se il tuo nemico ha fame, dagli pane da mangiare; se ha sete, dagli acqua da bere; così ammasserai tu stesso carboni ardenti sul suo capo ed il Signore ti ricompenserà” (Proverbi 25, 21-22)
    Ed è ciò che puntualmente Egli fa quando sulla croce chiede al Padre di perdonare coloro che non sanno quel che fanno, chiedendo il perdono per i suoi carnefici, come Rabbi Aqiba, tempo dopo, che pure morì martire dell’oppressore romano e che accetta tortura e martirio, ringraziando fino alla fine il Creatore per quella sorte.
    Ma l’insegnamento continua e qui si potrebbe anche intravvedere un Gesù che consiglia qualche direttiva di comportamento politico:
    Non basta fare un miglio richiesto dall’avversario (le odiose corvée imposte dagli oppressori Romani) ma è auspicabile farne due, allo scopo di smorzare l’aggressività del nemico.
    E a chi chiede la tunica dare anche il mantello …

    Questo atteggiamento del Maestro, non era poi del tutto nuovo per l’epoca.

    Occorre non dimenticare mai che Gesù era nato Ebreo e “sotto la Legge”, da genitori Ebrei.
    Fin dalla nascita era stato, con la sua famiglia strettamente osservante (circoncisione, presentazione al Tempio, osservanza, da parte di sua madre, dei quaranta giorni di purificazione dopo il parto, ritrovamento di Gesù nel tempio, mentre discute con i Dottori).
    Osservava le feste religiose, si recava in Sinagoga e nel Tempio, dove insegnava, con l’autorevolezza e l’autorità riservate ai Rabbi.
    Come avrebbe potuto un Ebreo osservante, disconoscere la Torah o porsi al di sopra di questa che, per un figlio di Abramo è TUTTO? E’ a fondamento stesso dell’esistenza umana?
    Per un Ebreo la Torah non è un obbligo, un insieme di norme e di comandamenti. E’ UN DONO INFINITO DEL SIGNORE, preesistente, nella mente di D-O alla stessa creazione.
    Nell’insegnamento e nell’esempio di Jeshua, il motivo ricorrente è sempre il conformarsi alla volontà del Padre che è nei Cieli, il vivere per il regno dei Cieli che è già in mezzo a noi e per un Ebreo, anche non religioso, questo significa vivere la Torah che non è un obbligo o una serie di imposizioni legalistiche, ma è Parola di D-O, un Suo magnifico ed infinito dono, gioia, regola di vita, Storia del Popolo, Libro sacro, Vita stessa.
    E questa concezione dell’esistenza, secondo la legge, implica l’afferrare nell’anima il senso dell’Eterno e dei valori infiniti, relativizzando e riducendo a nulla il valore dei beni terreni, pensiero questo che accompagna il Nazareno lungo tutta la sua breve vita di predicazione, non diversamente dai Rabbi che lo avevano preceduto e da quelli che sarebbero venuti dopo di Lui
    Uno spunto di riflessione, dal "Talmud" di A. Cohen:

    “Consumare l'esistenza affannandosi nella ricerca di beni materiali è un assurdo, poiché ricchezze di tal genere hanno solo un valore transitorio.
    Questa verità viene illustrata con una parabola che ricorre anche in Esopo.
    "Si può istituire il paragone con una volpe che trovò una vigna recinta d'ogni lato. v'era però un'apertura. Tentò di passarvi ma non ne fu capace.
    Che fece? Digiunò tre giorni, fino che divenne magra e poté passare attraverso il foro.
    Mangiò abbondantemente e, di conseguenza, tornò grassa. Quando volle uscire, non poté passare dall'apertura.
    Digiunò così altri tre giorni, finché dimagrì e allora uscì. Quando fu fuori, si volse indietro e, guardando la vigna esclamò: "O vigna! A che mi avete servito tu e i tuoi frutti? Tutto ciò che contieni è bello e degno di lode, ma che beneficio si può avere da te? come si entra, si esce."
    Così è del mondo. Quando una persona vi entra ha le mani strette come per dire: "tutto è mio, lo possiederò interamente".
    Quando esce dal mondo, le sue mani sono aperte, come per dire: "Niente ho acquistato dal mondo". (Eccles. R., v, 14)

    Tutto ciò che l'uomo può acquistare e dovrebbe sforzarsi di accumulare nel tempo di sua vita è un tesoro di buone opere. E' questo un tesoro che conserva il suo valore anche dopo morte.
    "Nell'ora della dipartita dell'uomo né argento né oro né pietre preziose né perle lo accompagnano, ma soltanto la Torah e le buone opere; come è detto: "Quando cammini ti guiderà, quando sei coricato veglierà su di te, quando ti desti parlerà con te" (Prov, VI, 22). "Quando cammini ti guiderà, - in questo mondo-; quando sei coricato veglierà su di te - nella tomba- ; quando ti desti parlerà con te - nel mondo avvenire-" (Aboth , VI, 9)

    queste parole conducono ad alcune considerazioni:
    1)La metodologia dell'insegnamento morale, attraverso lo strumento della parabola, caro all'Ebraismo, di grande penetrazione pedagogica e di grande semplicità di comprensione allegorica per ogni uomo, di ogni ceto, razza e cultura.
    Come dice il testo, la stessa parabola si ritrova poi in Esopo, in epoca molto posteriore ed in un mondo totalmente diverso, quello ellenistico, dal mondo ebraico.
    2) Inoltre il concetto espresso e la formulazione dell'insegnamento in parabola, i Cristiani lo ritrovano nel nuovo testamento, come base didattica e pedagogica, prova evidente di una metodologia rabbinica consueta e consolidata tradizionalmente, da secoli, di grandissima efficacia pedagogica, quindi per nulla novità o concetto innovativo, ma semplicemente affermazione di un'idea cardinale di una tradizione millenaria, fatta propria dal Nazareno, conformante alle scuole della Sua gente .
    3) La centralità della Torah per l'uomo, dalla nascita, alla morte, in ogni sua azione, perché essa lo guida nel cammino (della vita), lo accompagna, vegliando su di lui nel sonno (della morte) e gli parla, al risveglio (nella vita eterna).
    4) La salvezza è conseguita per grazia divina ma anche per le opere buone, attraverso lo studio della Torah e del vivere secondo questa. ( Il Luteranesimo negava l'importanza delle opere)
    Domanda: Che cosa o piuttosto Chi, può parlare all'uomo al "risveglio"? La risposta è il Creatore. Quindi la Torah è la parola del Creatore e ad Esso conduce, dall'inizio della vita, alla fine di questa e alla nuova vita.
    Non a caso Gesù risponde al tentatore: “Non di solo pane (Beni materiali) vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di D-O” (la Torah).

    Anche i discepoli di Johanan Ben Zaccai (Johanan il Giusto) proclamavano la via della pazienza e della tolleranza, come la strada buona che conduce al perdono, che porta all’estremo il comandamento dell’Amore è solo apparentemente remissività o, ancor peggio, passività.
    In una situazione storica confusa e complessa, dove vi era la maggioranza del popolo rassegnato alle angherie dell’impero romano, con una minoranza di zeloti che rivendicavano con orgoglio il legittimo desiderio di libertà e con la classe corrotta e collaborazionista dei Sadducei, il Nazareno che amava il suo Popolo ed il suo Paese, predicava una resistenza ideologica e spirituale, rafforzando i cuori nelle radici dell’Ebraismo, confidando nel Regno dei Cieli e nella Teocrazia, evitando lo scontro diretto contro Roma, che avrebbe portato, come avvenne inevitabilmente in seguito, Israel alla rovina, culminata con oltre 6000 crocifissioni e nel 70 con la distruzione del Tempio, ad opera delle legioni di Tito e alla diaspora durata 2000 anni.
    Se “compimento” vi fu, da parte di Jeshua Ben Joseph, fu nel senso della stretta applicazione e nell’adempiere ai comandamenti del Sinai, ma non certamente nel senso del “superamento” della Torah nella sua persona.

    Altro problema di intervento da parte del redattore sul testo originale che colpisce in maniera chiara è quello relativo al “comandamento minimo”.
    L’Ebraismo conosce comandamenti più difficili e altri meno, ma non esistono “comandamenti minimi”.
    Nell’affermazione “chi annulla anche uno di questi comandamenti minimi sarà chiamato minimo nel regno dei cieli”, è implicito il concetto che in ogni caso costui, questo trasgressore avrà accesso al regno dei cieli e suona anche come un “permesso” o un incoraggiamento a trasgredire alcuni precetti, poiché comunque il Regno dei cieli resterebbe aperto. Quindi appare oltremodo dubbio che un uomo della levatura del Nazareno possa aver pronunciato esattamente quelle parole.
    Probabilmente, se facciamo riferimento ad espressioni analoghe si può sostituire “minimo” con “leggero”:. (In Dan 5,25 il giudizio divino emesso su Baldassar, il cui regno “ fu contato, pesato e trovato troppo leggero”)

    In proposito Gesù è chiaro:
    “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: "Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demòni e fatto in nome tuo molte opere potenti?" Allora dichiarerò loro: "Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!" (Mt 21,23)
    Ed ancora:
    “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta, dell'aneto e del comino, e trascurate le cose più importanti della legge: il giudizio, la misericordia, e la fede. Queste sono le cose che bisognava fare, senza tralasciare le altre”. (Mt 23,23) (l’osservanza di un comandamento “leggero” come la decima della menta , dell’aneto e del cumino implica comunque dapprima l’osservanza degli altri comandamenti).
    Non a caso Giacomo, fratello di Gesù scrive: ” Poiché chiunque osserva tutta la Torah, ma inciampa in un punto solo, si rende colpevole di tutti i comandamenti” (Giac. 2,10).
    Giacomo fu il capo della prima Chiesa gerosolimitana, dopo la morte di Gesù e non a caso i giudeo – cristiani frequentavano il Tempio e la Sinagoga, persistevano nella circoncisione e nell’osservanza alla Torah e probabilmente costituivano solo una delle espressioni dell’Ebraismo, fino all’arrivo di Paolo di Tarso che prese una direzione del tutto opposta, con le conseguenze che tutti conosciamo.
    Probabilmente la strategia di Paolo fu giusta o giustificabile: egli doveva “esportare” il Vangelo al di fuori della Palestina, in un mondo permeato dalla cultura e dalla filosofia ellenistica e dalla politica autoritaria dei Romani.
    Occorre però precisare, a difesa delle scelte di Paolo di Tarso, che era Fariseo e quindi certamente grande conoscitore della Legge e della tradizione, che la Torah era stata donata agli Ebrei, al Popolo che D-O aveva eletto e solo essi erano tenuti alla stretta e perfetta osservanza di questa. I “Goym” (i gentili) non erano obbligati e non lo sono tutt’ora, all’osservanza della Torah data sul Sinai, ma solo all’osservanza delle Leggi di Noè, valide per tutto il genere umano.

    Hard Rain giustamente osserva:
    “Ma Paolo è andato oltre, laddove afferma che “in Cristo non vi è più giudeo o greco (cioè: gentile, non ebreo), non vi è più schiavo né libero; non vi è più uomo o donna” (cfr. Gal. 3:28), una straordinaria dichiarazione di uguaglianza assoluta in Cristo per tutto il genere umano, laddove si tenga conto soprattutto di come era vista la “donna” in quei secoli lontani, da poeti, filosofi e persino medici e scienziati dell’epoca, vale a dire una “terza specie” a metà via tra l’uomo (maschio) e gli animali (sic!)”
    La strategia apostolica di Paolo era quindi fondata anche su basi ideologiche antiche.
    Il nuovo pensiero doveva essere presentato in una veste comprensibile all’uomo occidentale e che allo stesso tempo, non costituisse una preoccupazione per il mondo politico, il quale si mostrava tollerante verso le religioni altrui, fino a quando queste non comportassero rischi di destabilizzazione per l’ordine costituito.
    Per questa ragione, le aspettative messianiche tradizionali ebraiche vennero sublimate in senso spirituale, Gesù venne completamente de-ebraizzato, la figura di Pilato, noto alla storia come uomo duro e determinato, sterminatore senza esitazione di ogni giudeo ribelle, fu mitigata nel racconto di Luca (segretario di Paolo), con il falso storico clamoroso del processo a Gesù che non fu degli Ebrei, ma dei Romani e la morte infamante in croce, prerogativa esclusiva dei Romani e riservata ai ribelli contro l’impero, ma sconosciuta agli Ebrei, divenne il simbolo del riscatto dell’umanità dal peccato.
     
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    Beati i poveri diceva,perche erediteranno le terra ,ma non tutti i poveri,alcuni sarebbero rimasti sempre poveri e li avremmo avuti sempre con noi!
    Intanto 300 denari di nardo se li pappò tutti lui !
    Esaltava la povertà ,ma si faceva mantenere da ricche prostitute e accettava denaro sporco da gentaglia alle dipendenze di Erode !!


    Mt 21.33
    “ucciderà senza pietà quegli uomini malvagi(ebrei) e darà in affitto la vigna ad altri contadini(ellenisti-cristiani) che,alla stagione giusta ,gli consegneranno i frutti” !!

    GUAI A VOI amava ripetere!
    Questa parola –minaccia a me mette i brividi!

    Il Gesù dei vangeli,caro Negev,è un vero disastro . Del vero Gesù non sappiamo praticamente niente!!
     
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    CITAZIONE (nagev @ 7/10/2008, 23:15) 
    ...epoca in cui le Scuole erano fervide e fiorenti...

    Se non ricordo male, in 'Un Ebreo marginale' di Meier vol 1 (pag 273) viene affrontato l'argomento dell'istruzione giudaica a quel tempo e lungo una decina di pagine Meier giunge ad una conclusione molto cauta, se non titubante, sull'esistenza-organizzazione-diffusione-appannaggio dell'istruzione a quel tempo (personale considerazione: è una interessante trattazione-analisi, che ho ritrovato meno negli altri testi/studi da me letti sin qui, una trentina)

    Chiedo: su cosa hai basato l'affermazione di cui sopra, che mi pare contrasti
    con quanto emerge dalle conclusioni di Meier?

     
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    אריאל פינטור

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    se per scuola si intende una organizzazione strutturale, allora siamo d'accordo, questo non c'era. Ma io mi riferivo alla "scuola" quotidiana effettuata da ogni maestro che istruisse un gruppo di allievi, che fossero stabilizzati in un luogo preciso o che fossero itineranti.
    Quella era l'epoca delle grandi "scuole" di Hillel e Shammay.
    Lo stesso Paolo afferma di essere stato allievo di Gamliel.
     
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  6. Hard-Rain
     
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    πληροω è un verbo che nel greco coevo denota "riempimento", tipo riempire un secchio di liquido e colmarlo. Da cui la traduzione con "adempio" in italiano, quando il verbo è riferito alla legge. Il νοπος (metaforicamente il ... secchio!) c'era al tempo di Gesù ma egli ritiene che non fosse del tutto pieno e con i suoi insegnamenti riteneva che finalmente si potesse adempierla del tutto. Probabilmente nei comportamenti o negli atteggiamenti delle persone del tempo, particolarmente in quella che oggi definiremmo classe dirigente (tempio e culto sacerdotale sadduceo) notava qualcosa che non andava, dal suo p.to di vista. Come oggi abbiamo un Nuovo Testamento ma percepiamo che qualcosa non va, che la Chiesa non segue fino in fondo (e dunque non adempie) i precetti neotestamentari.
     
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    Bereshit

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    Bellissimo il post di Negev......nel 2008 (e ho letto altri tuoi post di quel periodo) eri molto piu scientifico nelle analisi di adesso...........

    CITAZIONE (nochiesa @ 16/12/2011, 02:16) 
    Beati i poveri diceva,perche erediteranno le terra ,ma non tutti i poveri,alcuni sarebbero rimasti sempre poveri e li avremmo avuti sempre con noi!
    Intanto 300 denari di nardo se li pappò tutti lui !
    Esaltava la povertà ,ma si faceva mantenere da ricche prostitute e accettava denaro sporco da gentaglia alle dipendenze di Erode !!


    Mt 21.33
    “ucciderà senza pietà quegli uomini malvagi(ebrei) e darà in affitto la vigna ad altri contadini(ellenisti-cristiani) che,alla stagione giusta ,gli consegneranno i frutti” !!

    GUAI A VOI amava ripetere!
    Questa parola –minaccia a me mette i brividi!

    Il Gesù dei vangeli,caro Negev,è un vero disastro . Del vero Gesù non sappiamo praticamente niente!!

    Leggere i tuoi post viene da vomitare......praticamente chi ti conosce ti evita
     
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6 replies since 7/10/2008, 23:15   1241 views
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